Domenica 28 Giugno 2015
Fa un gran caldo, forse sarà meglio spegnere le valvole del Klimt Echolet prima che l’odore della polvere annidiata sui trasformatori si mescoli a quello delle susine abbattute dalla grandinata di ieri sera. Erano quasi mature, che peccato sentirle affondare sotto i piedi. Il suono delle valvole è sempre stato una centrifuga di nostalgie ma il calore degli anni 60 si apprezza meglio in inverno.
Mentre annuso l’aria che entra dalla finestra mi metto a pensare, e come sempre, una cosa che ti viene in mente si potrebbe anche scrivere.
Per quanti amassero ben altri generi musicali, non saprei dire quanto sarebbe noioso per loro, se mi mettessi a parlare di musica sperimentale, di avanguardie, descrivendo le varie fasi del suono e dei vecchi e nuovi Sintetizzatori. E allora, nel caso che quanto scrivo venisse letto solo per errore o per curiosità, sarà bene proseguire semplificando i concetti in ordinaria esperienza di vita, così come l’abbiamo vissuta con i pochi o tanti mezzi che avevamo a disposizione. Da sempre, la mia “stanza dei suoni e dei rumori” era un ricovero per gloriosi sintetizzatori ormai sprofondati in una fascia di prezzo che, a quel punto, potevo sostenere. Una lotta tra il nuovo, il vecchio, , e l’economico.
Senza tirare troppo di fino e guadagnare tempo potrei dire che realizzare e memorizzare un suono è complicato, ma al tempo dei primi sintetizzatori monofonici con memoria volatile era anche peggio. Tra le apparecchiature che mi sono morte tra le mani, ricordo ancora un tragico PPG Wave con tutti i dati relativi alla Library interna precariamente registrati su nastro magnetico, un “Cinematografico” Emulator II che si avviava solo dopo avergli dato un pugno sullo scatolotto dei due enormi Hard Disk, (parzialmente visibile nella foto “Prova di elementi sonori”) e un vetusto Oberheim con una immane quantità di manopole e deviatori sottolineati da una serigrafia che “raccontava” storie di oscillatori e algoritmi. Ma il più stramazzante ordigno monofonico fu un sintetizzatore a 49 tasti che mi feci costruire da un vecchio ingegnere Pistoiese: una vera bomba a sonagli. Sulle alte frequenze soffiava come una vipera incrociata con un merlo indiano. Prese fuoco alle prime luci del mattino, dopo essere rimasto accidentalmente acceso tutta la notte.
In ogni caso, la mia smania di ricerca era partita da una immagine di Otto Luening e Vladimir ussachevskj ritratti mentre mettevano le mani dentro una fila di non identificabili apparecchiature elettroniche stipate l’una su l’altra dentro una gigantesca intelaiatura metallica formato rack. Bei tempi, oggi non potrei fare a meno della voce del mio Computer per entrare e uscire dai parametri di un suono, naturalmente, operando ancora in modo prevalentemente analogico: manopole, deviatori, microfoni,e… pugni sull’Hard Disk. Certe memorie magnetiche perdono peso e dimensioni ma non il vizio.
Ormai conosco a memoria le possibilità e le insidie degli strumenti che uso. Per estrarre suoni e non marmellate digitali si deve lavorare senza pensare tropo agli anni che, intanto, vanno via. Ma forse per oggi ho già pensato abbastanza, anzi, a proposito di marmellate digitali, ecco cosa potrei fare con tutte quelle susine. Alla faccia della grandine.
Audio in Garage: Sauro Sardi “Premiata macchina della grandine” (2015)