Io aspetto Django

Di sauro.sardi@gmail.com

Cosa vuol dire “Avversario” (?)  Il primo film che mi torna in mente è “Uomini contro”. Un carnaio di gente contro altra gente, sangue oltre il filo spinato e mine sepolte a fil di terra. Uomini che nemmeno si conoscevano tra loro venivano scaraventati sulla mappa che disegnava il piano d’attacco, la difesa, la ritirata. Strategie che penetravano vallate e deserti attraverso il valico audace delle alture o la rapida via delle gole che affluivano al centro dell’azione, dirompenti. Sulla carta dove sporgevano i profili dei monti si disponevano, orizzontali, i battaglioni allineati  e paralleli al verso dei fiumi. Si poteva vedere, in scala, l’esigua dimensione delle truppe che si fronteggiavano rispetto a tutto il resto che restava armonioso, immobile. Piccoli rettangoli di legno che contenevano eroi, codardi e lettere dal fronte. Microscopiche ossature rivestite di carne mimetica, elmetto da alopecia e scarponi da calli plantari pronti a cambiare passo e postazione. Tutto questo non è archeologia, non è reperto o voce drammatica nel documentario.  In troppi casi di legittima insoddisfazione, l’umore sul quotidiano della politica si avventa sulla scheda elettorale declamando più il disprezzo che non l’idea, e tutto si svolge senza sentire neanche lontanamente il bisogno di rinfrancare lo spirito nel semplice auditorio dei nostri resistenti o caparbi Circoli Culturali, o nell’impegno delle nostre Parrocchie più inclini all’azione che all’adorazione.

L’andamento dei flussi viene regolato da patacche espressive che raccolgono il consenso attraverso esperimenti di semiotica e posture molto simili a movenze militari. Una lotta tra soggetti armati di parole che rispetto alle “bombe intelligenti” conservano la stessa imprecisione e cadono sulle teste dei poveri rettangoli di legno che altro non possono fare oltre il disperdersi al centro, a destra, a sinistra. Poveri rettangoli di legno ormai senza più capelli tra ferro e cranio, e con le scarpe che a stento trattengono lo splendore acuto dei calli. Tutto questo sancisce l’idea di una mancata progressione del nostro genere di sostanza vivente, intelligente, rispetto al profilo perenne dei monti, il corso antico dei fiumi, le gole sotto l’orrido crepaccio o strapiombo del pendio. (sempre audace). Siamo ancora dei rettangoli di legno scagliati l’uno contro l’altro. In questo gioco dove schierarsi è quasi obbligatorio, le vittime più comuni sono proprio coloro che come sosteneva Gramsci, devono sentirsi “partigiani” e quindi stare da una parte o dall’altra.

Ma questo era il pensiero di un piccolo costruttore di barchette fatte con la carta di giornale, quando sembrava che la democrazia fosse composta da due materie che si contendevano il ruolo dominante, alternandosi nell’esercizio del potere e dell’opposizione. Ormai, lo schema difensivo di coloro che hanno regolarmente vinto o usurpato il Feudo, sembra spaginato da un carteggio medievale, sollevano il ponte levatoio e diventa inaccessibile lo scambio, il confronto. E’ un errore, alla lunga cede la linea di posizione rispetto a quella di movimento. La storia è chiara: vince l’assedio, e questo vale per battaglie vecchie e nuove. Stiamo tornando al tempo delle sassaiole tra amici e non ho più la mira, intanto il gioco della politica ferisce più delle sassate, raffredda i rapporti e tiene a distanza persone che non si sono mai conosciute veramente ma si sentono ostili. Forse stiamo diventando troppo seri o troppo buffi, e allora

che ci salvi almeno l’umiltà se abbiamo perso l’ironia, intanto io aspetto Django, e questa volta non sarà un diluvio di piombo ma ci salverà tutti, nessuno dovrà fingersi già morto. Django ha attraversato le sabbie rosse del deserto, ha ballato con lo stregone indiano e mangiato carne di serpente, sa fare il verso della Civetta e quello del Coyote. E sa fischiare come fischia il vento lungo della vita e il soffio breve della morte. Io aspetto Django.

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